Il socio “leone”. Il revirement della Cassazione su opzioni put a prezzo definito e divieto del patto leonino.

Con una sentenza innovativa, la Corte di Cassazione, 4 luglio 2018, n. 17498, Sez. I – Pres. Schirò; Rel. Nazzicone, ha posto fine al filone giurisprudenziale che reputava contrario al divieto del patto leonino il patto attributivo di un’opzione put a prezzo definito. Così si esprime la massima: È lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso di versamenti operati nelle more in favore della società. Nella nota di commento che si diffonde in anteprima, il prof. Nicola de Luca analizza la sentenza, e propone queste conclusioni: «va espressa condivisione per la sensibilità mostrata dalla Suprema Corte per le espressioni della autonomia privata elaborate da una pratica degli affari reputata corretta e da giudicarsi meritevoli di protezione giuridica, come quelle atte a consentire partecipazioni a scopo di finanziamento. L’esame del caso e delle motivazioni addotte per la sua soluzione hanno, tuttavia, posto in luce la necessità di un ulteriore affinamento degli strumenti di valutazione. In particolare, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza commentata, è emerso come non possa escludersi la rilevanza di pattuizioni leonine contenute in accordi parasociali: la valenza sotto il profilo meramente obbligatorio tra le parti contraenti non esclude il vulnus al principio che la migliore dottrina – seguita dalla giurisprudenza – assegna al divieto del patto leonino e che attiene – secondo la stessa rubrica dell’art. 2265 c.c. – ai rapporti tra soci. Si impone, pertanto, di giustificare la compatibilità delle opzioni put a prezzo definito con il sistema nel suo complesso analizzando più da vicino il rapporto tra il socio che beneficia dell’opzione e quello che vi soggiace. Come è stato già riconosciuto in passato, tale rapporto può essere alle volte inquadrato in alcune figure tipiche – come la vendita con patto di riscatto o il riporto – che tollerano, data la funzione di scambio, garanzie di esenzione dalle perdite e di rendimento garantito. Nel caso di specie sono stati rintracciati gli elementi tipologici della cointeressenza impropria, pure sottratta secondo la giurisprudenza alla proibizione di pattuizione leonina ma – ed è questo il profilo di maggiore rilievo – a condizione che sia esclusa la compartecipazione dell’associato alla gestione dell’impresa o dell’affare. Se, dunque, è ammissibile utilizzare gli strumenti di partecipazione societaria – azioni, obbligazioni o strumenti finanziari – per realizzare operazioni di venture capital con garanzia di rimborso e/o di rendimento, deve essere tuttavia assicurato che all’investitore – anche se dotato di azioni o altre partecipazioni al capitale –non sia dato modo di esercitare irresponsabilmente i diritti sociali: in caso contrario, la pattuizione put collocata a livello sociale cade per violazione del patto leonino e quella collocata a livello parasociale cade perché idonea a rendere illecita la causa del contratto, volto all’elusione di una norma imperativa». Scarica da qui la sentenza e la nota.

Il socio “leone”. Il revirement della Cassazione su opzioni put a prezzo definito e divieto del patto leonino.