Una vicenda che ha del kafkiano, un po’ lunga, ma val la pena. Nel 2018, Synergo (un consorzio siciliano operante nel petrolchimico) si aggiudica una gara e acquista con un ingente pagamento in contanti, e l’onere di prendersi in carico centinaia di lavoratori in CIGS, l’azienda (di una società nel frattempo fallita) sequestrata per mafia nel polo petrolchimico di Augusta. La vendita si perfeziona nelle stanze del Presidente della sezione GIP del Tribunale di Catania, giudice delegato alla procedura. Synergo tuttavia stenta ad immettersi nel possesso dell’azienda per via di pressioni sindacali (indebite: esponenti dei sindacati vengono arrestati per tentate estorsione) e della mancata cooperazione degli amministratori giudiziari, tre noti professionisti della città, e del magistrato. L’ostilità è tale che tal magistrato – che poi diventerà noto su Le Iene per aver fatto aprire un ristorante romano in pieno lockdown per ivi pranzare con sua figlia – in palese abuso dei propri poteri (non è un’opinione, è quanto ha poi accertato la Cassazione con sentenza n. 30422/2020), affermando asseriti inadempimenti di Synergo in ordine all’assunzione dei lavoratori (regolarmente avvenuta, peraltro), revoca l’aggiudicazione trattenendo il prezzo e, con la longa manus degli amministratori giudiziari, manda camion a prelevare i macchinari costituenti l’azienda ceduta e sigilla il sito (del demanio). Solo la Cassazione, alcuni anni dopo, qualificando “abnormi” i provvedimenti del magistrato, riesce a fare restituire a Synergo l’azienda che aveva acquistato, tuttavia ormai non più in attività e sostanzialmente priva di valore. Un rottame.
E’ qui che si innesta la vicenda giudiziaria di cui si occupa la sentenza allegata. Dopo la Cassazione, gli amministratori giudiziari, definendosi “amministrazione giudiziaria”, si accaniscono contro Synergo chiedendo la risoluzione della vendita di azienda per affermato inadempimento, e chiedono – oltre al prezzo da sempre trattenuto – centinaia di migliaia di euro di risarcimento. Synergo – assistito da D&D Avvocati associati, con un team composto dal partner prof. Nicola de Luca e dall’associate Sergio Perrotta – contestano anzitutto la persistente legittimazione degli attori, dato che il ruolo di amministratore giudiziario si esaurisce con il compimento dell’atto di vendita e comunque cessa con il decreto di confisca (già intervenuto da tempo); Synergo contesta ovviamente anche il fondamento dell’azione di risoluzione. Il Tribunale di Catania, con una coraggiosa e saggia sentenza del 10 maggio 2023, Giudice Unico dott. La Mantia accoglie l’eccezione di Synergo e rigetta la domanda. La sentenza si segnala anzitutto per aver chiarito come non esista “un’amministrazione giudiziaria” di un compendio aziendale sequestrato, con propria soggettività, ma solo amministratori giudiziari di un patrimonio che deve essere ceduto per non perdere la propria organizzazione ad azienda. La stessa sottolinea inoltre che il compito degli amministratori giudiziari non può sopravvivere alla vendita dell’azienda e, in generale, cessa con la confisca del restante patrimonio a favore del demanio. Tale inquadramento in diritto consente all’attento giudice civile di riconoscere e censurare duramente il persistente abuso che il Tribunale di Catania medesimo, con il menzionato magistrato (ormai in pensione) e gli ausiliari a lui fedeli. Parole decise e dure per una sentenza civile che accolga un’eccezione di difetto di legittimazione: «L’intera vicenda, nel suo dipanarsi oltremodo atipico ed in evidente contrasto con le norme di diritto sostanziale e processuale, ha visto come protagonista assoluto il presidente della sezione Gip del Tribunale di Catania che, attraverso la sequenza dei provvedimenti sopra elencati, ha ritenuto di potere intervenire in via giurisdizionale pur dopo il passaggio in giudicato della sentenza con la quale è stata disposta, tra le altre, anche la confisca del ramo di azienda …». Synergo, sempre con l’assistenza di questo studio, ha avviato una causa di risarcimento del danno (ovviamente contro lo Stato) per la responsabilità del suddetto magistrato e dei suoi ausiliari, ormai affermata non solo dalla Cassazione ma persino dai colleghi del medesimo ufficio giudiziario, il Tribunale di Catania. Questa sentenza appare un segnale confortante, che la giustizia delle corti, pur lenta e farraginosa, tuttavia esiste: non bisogna perdere fiducia nella magistratura.
